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Antidoto| Unicorni: antidoti e amuleti

Aggiornamento: 14 mag 2020

Per secoli prima dell'era dell'Illuminismo, i reali cercavano protezione nella superstizione, nell’alchimia e pagavano enormi somme per oggetti magici che credevano avrebbero neutralizzato, esposto o respinto il veleno. Il più ambito di questi oggetti era il "corno di unicorno".

I sovrani credevano infatti che tali oggetti li avrebbero protetti dai veleni: un esempio illustre è la regina Elisabetta I che, oltre ad acquistare un magnifico corno di unicorno a spirale per l’assurdo prezzo di 10.000 sterline, si diceva bevesse solo da una tazza ricavata da un corno di unicorno, poiché credeva che se il veleno l’avesse toccata, sarebbe esplosa.

Naturalmente, le corna di unicorno non venivano ricavate da questi animali mitici: la maggior parte proveniva dalla zanna dei narvali (balene artiche con una zanna a spirale che serve come organo sensoriale, permettendo alla creatura di rilevare sottili cambiamenti di temperatura, pressione e altri elementi atmosferici).

Questo uso di corni come antidoti pare sia iniziato con un commerciante vichingo che, intorno al 1000 d.C., iniziò a trovare zanne di narvalo sulla spiaggia in luoghi come la Groenlandia e a venderle agli europei. Il commercio si rafforzò durante il Medioevo, quando l'unicorno divenne un simbolo di Cristo, e quindi un animale quasi santo. Arrivati al Rinascimento, le corna di unicorno erano ormai considerate come antidoti universali e amuleti ed erano perciò rarissime e costosissime. I sovrani europei divennero perciò ossessionati dal possesso delle corna di unicorno. Nel 1533, papa Clemente VII regalò a re Francesco I di Francia un magnifico corno montato in oro massiccio e anche Ivan il Terribile possedeva alcuni oggetti ricavati da corni. Apparentemente Filippo II di Spagna ne aveva 12. La famiglia reale degli Asburgo mise una delle sue zanne in uno scettro coperto di pietre preziose. E alla fine del 1600, Christian V di Danimarca sedeva su un trono di corna di unicorno, che è stato usato per secoli nelle cerimonie di incoronazione. Il successore di Elisabetta I, James I, era un po’ più sospettoso: dopo aver acquistato un corno particolarmente costoso volle testarne i poteri somministrando ad un servo prima del veleno e in seguito un antidoto fatto di corno di unicorno in polvere. Quando questo morì, James credette di essere stato ingannato.

L'esistenza degli unicorni iniziò ad essere messa in dubbio a partire dalla fine del XVI secolo ma ormai la sua immagine aveva acquisito una serie di significati metaforici soprattutto nelle rappresentazioni artistiche. Le seguenti opere d'arte rivendicano alcune delle più memorabili raffigurazioni di unicorni nella storia dell'arte.


Martin Schongauer, La Caccia Mistica dell’Unicorno, 1489, Pushkin Museum of Fine Arts, Mosca


L'opera del famoso artista tedesco Martin Schongauer appartiene a una serie di dipinti che affrontano il tema dell'Annunciazione. In una svolta al genere, Schongauer inserisce qui l’immagine di una caccia all'unicorno, raffigurando Gabriele come cacciatore, accompagnato da cani che rappresentano le virtù cristiane di giustizia, verità, misericordia e pace.

Nel lavoro di Schongauer, l'unicorno si stende sul ginocchio piegato di Maria ricordando la leggenda secondo cui l'animale potesse essere sottomesso solo da una vergine, che i cacciatori usavano abitualmente come esca. La rappresentazione dell’unicorno serve quindi anche a rafforzare l'associazione allegorica dell'unicorno con la divinità e l’ultraterreno in generale. Questo simbolismo era già esistente nel II secolo d.C. come vediamo dai bestiari medievali come il Fisiologo, che abbinava descrizioni di animali a citazioni bibliche e favole moralmente edificanti. Dipinti come questi inoltre, proprio perché vedevano inserite figure “portafortuna” offrivano inoltre protezione per i committenti che erano sempre attenti al tipo di iconografia che affidavano all’artista.


Artista Sconosciuto, Caccia dell’Unicorno, 1495–1505, The Metropolitan Museum of Art, New York


Considerati come dei veri e propri gioielli del Met Cloisters (il braccio medievale del Metropolitan Museum of Art), i sette "Arazzi dell’Unicorno" sono straordinariamente belli e preziosi (sono formati da lana riccamente tinta e abbelliti con seta, argento e oro). Ancora più affascinante è il fatto che molti dettagli sulla loro creazione rimangono un mistero: non sappiamo infatti né chi li ha commissionati (e per quale occasione) né chi ha fornito i disegni originali delle composizioni.

Gli arazzi mostrano un gruppo di nobili, cacciatori e cani che insegue, cattura (con l'aiuto di una vergine) e uccide un unicorno nel bosco. Le scene potrebbero essere state pensate per servire da allegoria per la narrazione della crocifissione, ma è anche possibile che si riferiscano a un matrimonio. Nella scena finale infatti l'unicorno è miracolosamente incolume, e viene legato da una catena d'oro a un albero di melograno.


Raffaello, Ritratto della Dama con l’Unicorno, 1503-1505, Galleria Borghese, Roma


Il ritratto eseguito da Raffaello è una delle sue opere più misteriose: non sappiamo nemmeno in questo caso infatti da chi fu commissionato e per quale occasione. L’ipotesi più accreditata è che il ritratto sia stato commissionato da una famiglia nobile (certamente cortigiana) in occasione delle nozze della figlia. L’usanza di commissionare un ritratto di questo genere era molto in voga al tempo e aveva diverse finalità: il ritratto serviva a “presentare” la futura sposa, elogiandone i pregi e il lignaggio e soprattutto era un regalo-amuleto della famiglia nei confronti della coppia.

Alla fine degli anni '50, alcuni studi ai raggi X hanno rivelato che un cagnolino era stato originariamente dipinto dove ora si trova l'unicorno. Mentre il cagnolino è certamente un simbolo di fedeltà comunemente associato al matrimonio, l'unicorno rappresenta una serie di altri significati come la verginità o la castità e soprattutto è comunemente ritenuto un portafortuna.


Albrecht Dürer, Cattura dell’Unicorno, 1516, National Gallery of Art, Washington D.C.


Conosciuto principalmente per le sue xilografie, Albrecht Dürer ha anche creato sei incisioni, sperimentando con lastre di ferro, di cui l’opera è un esempio. La scena è probabilmente un riferimento al mito greco in cui Plutone, dio degli inferi, rapisce Proserpina per farla sua sposa. Mentre il mito tradizionalmente include un carro trainato da cavalli, Dürer immaginava un unicorno come il destriero di Plutone. Qui, piuttosto che rappresentare un sostituto della purezza femminile, l'unicorno è raffigurato come una bestia impazzita, proprio come lo stesso Plutone. In questa incarnazione, l'unicorno ricorda le prime descrizioni come quella di Plinio il Vecchio, che scrisse di un animale potente che combinava i tratti fisici di un cavallo, un elefante e un cinghiale.


Domenico Zampieri detto il Domenichino, Vergine con unicorno, 1604, Palazzo Farnese, Roma


L’unicorno, denominato nell’italiano antico alicorno, è qui collocato accanto a una ragazza, e ne rappresenta semplicemente la purezza e la castità.


Luca Longhi, Dama con unicorno, 1535-1540, Museo di Castel Sant’Angelo, Roma


Studi recenti hanno identificato nella fanciulla ritratta in questo quadro Giulia Farnese, la sorella di papa Paolo III. L’immagine può essere ben compresa nella definizione che ne dà Leonardo da Vinci, all’interno degli scritti dedicati alla funzione simbolica degli animali. Concetto che egli riprende dagli antichi, ma che stempera nella propria contemporaneità e che risulta utilissimo per comprendere il significato della presenza di questo animale immaginario nella pittura medievale e rinascimentale, nelle insegne araldiche, nelle imprese e nelle arti minori.

Scrive Leonardo: “L’alicorno, ovvero unicorno, per la sua intemperanza e non sapersi vincere, per lo diletto che ha delle donzelle, dimentica la sua ferocità e salvatichezza; ponendo da capo ogni sospetto va alla sedente donzella, e se le addormenta in grembo; e i cacciatori in tal modo lo pigliano”.


Gustave Moreau, I Liocorni, 1887 Musée Gustave Moreau, Parigi


Raffigurando soggetti biblici e mitologici in contesti opulenti, Gustave Moreau ha creato spesso opere che esemplificano l'interesse del simbolismo per le narrazioni che evocano emozioni come la paura o il desiderio.

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