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Antidoto| Mitridatismo

Aggiornamento: 14 mag 2020

Mitridatismo: “la pratica di assumere quotidianamente piccolissime dosi di veleno per rendersene immune”.

Questo termine è modellato sulla figura di Mitridate VI, re del Ponto vissuto nel I secolo a.C che, ossessionato dall’idea di venire avvelenato dai suoi numerosi nemici, passò la vita a studiare tutti i veleni allora conosciuti e avendo unito tutti i loro antidoti creò il farmaco perfetto, il mithridatium. La leggenda vuole che questo antidoto universale fosse formato da circa 54 ingredienti e non era altro se non l’unione di piccole dosi di tutti i veleni esistenti. L’unica cura al veleno era perciò il veleno stesso e solo attraverso l’assunzione di piccolissime dosi di tutti i veleni Mitridate sarebbe diventato immune a qualsiasi di questi.


Il mitridatismo nella pratica consiste perciò nell’ingerire quotidianamente piccolissime dosi di veleno sviluppando un’assuefazione progressiva a questi.


Considerando l’antidoto in quest’ottica possiamo considerare anche i veleni da un punto di vista diverso, soprattutto se pensiamo alla loro rappresentazione in campo artistico.


Come sono presentati i veleni nella storia dell’arte?

In linea generale gli episodi (storici, mitici o leggendari) di avvelenamento sono sempre affrontati come storie intriganti e soprattutto affascinanti e proprio in virtù di queste loro caratteristiche risultano essere i soggetti perfetti per grandi tele e quadri.


Nell’arte i veleni sono quasi sempre di due tipi: quelli che mirano ad uccidere e quelli che vogliono assuefare (come le pozioni magiche/d’amore) e in tutti questi casi il particolare più interessante risulta proprio essere il loro “contenitore” che esprime sempre l’eccezionalità della bevanda da loro contenuta.


Possiamo quindi osservare che i bicchieri, le coppe e i vasi che rappresentano i veleni sono sempre particolari eleganti e ricercati proprio perché vogliono sottolineare il ruolo chiave del loro contenuto all’interno della narrazione.


John William Waterhouse, Giasone e Medea, 1907

olio su tela, 134x107 cm (Private collection)


Il dipinto raffigura Medea, che prepara una pozione magica per Giasone.

Il mito ci racconta che Giasone era giunto nella Colchide insieme agli Argonauti per cercare il vello d’oro, custodito da un feroce drago per conto del re Eeta. Medea, figlia di Eeta, essendosi innamorata di Giasone, decide di aiutare l’eroe greco e usa le sue arti magiche per aiutarlo a primeggiare sul padre.


Nicolas Régnier, Sofonisba, 1626

olio su tela, 102x82 cm (Musei Civici di Padova)


La tela raffigura la storia di Sofonisba, come narrata da Tito Livio. Sofonisba era una nobile cartaginese, figlia di Asdrubale, moglie di Siface re della Numidia occidentale. Dopo la sconfitta del marito da parte del rivale Massinissa, che intendeva riacquistare il regno paterno, andò sposa al vincitore. Questo fu però costretto a consegnarla a Scipione che temeva che lei potesse, nel suo odio contro i Romani, convincere Massinissa ad appoggiare i Cartaginesi. Secondo la tradizione, la stessa Sofonisba, pur di non essere considerata preda di guerra, accettò il veleno che le diede Massinissa.


Jan Matejko, L’avvelenamento della Regina Bona Sforza, 1859

olio su tela, 45x55 cm (Museo Nazionale di Cracovia)



Il particolare è tratto dal quadro che raffigura l’avvelenamento della duchessa italiana Bona Sforza, regina della Polonia, che nel 1556 tornò alla sua città nativa Bari, dove fu avvelenata da Filippo II d'Asburgo, che dopo la sua morte riuscì ad annettere il ducato di Bari. Il veleno fu somministrato alla regina dal suo medico personale, Antonio da Macerata.


Jacques-Louis David, Morte di Socrate, 1787

olio su tela, 129,5×196,2 cm (Metropolitan Museum of Art, New York)



Il dipinto raffigura gli ultimi attimi di vita del filosofo greco Socrate, condannato per empietà, e corruzione dei giovani. Per questi motivi il filosofo venne condannato a morte dall'Areopago, tramite la somministrazione di un infuso velenoso di cicuta.

Evelyn De Morgan, La pozione d’amore, 1903

olio su tela, 104x52 cm (De Morgan Collection)





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