Cedro Libri – Antidoto – La bambina e il nazista
- Selene Arfini
- 22 mag 2020
- Tempo di lettura: 5 min
In un volume a tema Antidoto non possiamo non consigliarvi la lettura de La bambina e il nazista (Mondadori, 2020), di Franco Forte e Scilla Bonfiglioli. Questo romanzo richiama una nuova prospettiva, più realistica ed empatica, su come la tragedia della Shoah, nella sua fredda organizzazione, possa aver coinvolto e corrotto non solo mostri, ma anche uomini e donne tanto e troppo umani.

Il libro si apre con una frase significativa: “Hans Heigel sapeva che i cambiamenti non avvengono mai all’improvviso.” Hans, infatti, si rende conto troppo tardi che la sua Germania, che serve da ufficiale di complemento delle SS, è cambiata, come fosse affetta da un veleno potente e subdolo. Solo vedendo con i suoi occhi la spietata realtà dei campi di sterminio è costretto a realizzare quanto sia profondo e crudele questo cambiamento. Quando il veleno del nazismo e della connivenza con questo corrompe e distrugge anche la quiete della sua vita famigliare, solo l’incontro con la piccola Leah nel campo di Sobibór e la sua determinazione a difenderne la vita rappresenterà l’unico riscatto per le sue colpe e il solo modo che ha di salvare ciò che resta della sua umanità.
Gli antidoti che questo libro offre sono molti e diversi: alla codardia, alla quiescenza, alla miopia storica. Per questo abbiamo invitato gli autori del libro, Franco Forte e Scilla Bonfiglioli ad approfondire questi rimedi e riscatti, in un’intervista per Cedro Mag.
1. Anzitutto, come è nata l’idea per questa storia?
Prima ancora permetteteci di ringraziarvi per averci invitato sulle pagine di Cedro Mag. L'idea alla base del romanzo nasce molti anni fa. Mentre lavorava ad altri progetti, Franco Forte si è imbattuto in un trafiletto d'epoca tra i documenti dei processi di Norimberga. In quelle poche righe si diceva solo che, in un campo di sterminio, una bambina ebrea era stata salvata da un soldato. Non c'erano nomi, né dettagli più approfonditi, ma la storia che si delineava era potente come un pugno nello stomaco. Franco ha cullato queste parole per molto tempo. Poi, un giorno, ha preso il telefono e ha chiamato me: “Ho questa idea che mi frulla in testa da un po'. Ti andrebbe di scriverla insieme?”
2.Perché avete scelto Hans, un membro delle SS, come principale protagonista?
Ci piaceva l'idea di un punto di vista che fosse nuovo, che potesse offrire uno sguardo che, perché no, fosse anche scomodo. Siamo abituati a leggere storie come queste dal punto di vista delle vittime. Sapevamo, però, che non avremmo potuto aggiungere niente rispetto alle testimonianze reali di chi aveva vissuto la tragedia della Shoah sulla propria pelle. Hans Heigel, al contrario, ci ha dato l'opportunità di lavorare in una zona liminale tre le vittime e i carnefici. Hans è un soldato tedesco come ce ne erano molti, diviso a metà tra l'orrore e la dedizione alla causa del suo paese. Come molti, sceglie di non vedere fino a quando non succede qualcosa che lo porta ad aprire gli occhi. Hans fa parte della schiera dei carnefici, ma è lui per primo una vittima del Reich. Un protagonista con tante zone grigie che ci ha permesso di dare a un romanzo con un tema così grave quel taglio thriller che, ci auguriamo, possa tenere incollato il lettore fino all'ultima pagina.

3.Cosa avete trovato più difficile da raccontare, della realtà dei campi di concentramento?
Nella prima parte del romanzo ci troviamo nel campo di sterminio di Sobibòr, in Polonia, dove il colore preponderante è la paura. Ma quando si è spaventati si è consapevoli di essere vivi e si può reagire. Quando ci spostiamo nel lager di Majdanek, l'atmosfera è totalmente diversa, il regime di terrore è sostituito da una disumanizzazione più profonda, da un logoramento che toglie ai prigionieri la percezione di sé. In questo contesto, la reazione generale di fronte alle torture più efferate è quasi di indifferenza, di rassegnazione davanti alla morte inevitabile. Questa è stata in assoluto la parte più spaventosa da osservare e quella più difficile da mettere sulla carta.
4. La ricostruzione storica in cui avete ambientato il racconto è ricca di personaggi ispirati a figure realmente esistite. Come e perché avete scelto di parlare di queste persone? Quale personaggio storico non potevate non rappresentare in questo romanzo?
Nessuno dei personaggi del romanzo è realmente esistito, con quel nome e cognome, fatta eccezione per Himmler, che vediamo brevemente all'inizio della storia. Ma ce ne sono molti che sono ispirati da vicino a figure storiche importanti. È il caso dell'ebreo Ariel Goldberg, ispirato alla figura di Leon Feldhendler, o del soldato russo Misha, ricalcato su Aleksandr Aronovič Pečerskij. Tra tutti spicca la terrificante, giovane ausiliria Alida Haller, creata sui personaggi di due donne tristemente famose per la loro crudeltà: Hermine Braunstainr, conosciuta come la “cavalla scalciante” di Majdanek, e Ilse Koch, la “strega di Buchenwald”. Per quanto nessuno dei fatti raccontati sia davvero accaduto ad Hans Heigel o ai personaggi che lo circondano, tutti gli eventi che trovate tra le pagine de “La bambina e il Nazista” sono purtroppo accaduti realmente a qualcuno.
5. Hans deve compromettere spesso i propri valori per difendere la sua famiglia, se stesso e Leah. A oggi, quali compromessi non potete perdonargli?
Il cammino di Hans Heigel è una redenzione strana che lo porta a inabissarsi negli inferi. Messo con le spalle al muro è costretto a diventare un eroe. Non l'eroe di tutti, però, solo di Leah e, in fondo, di se stesso.
Se fosse una persona in carne e ossa potremmo puntare il dito sulla sua vigliaccheria, sull'ottusità che dimostra pur di non vedere l'orrore che ha intorno, sulla crudeltà di mostro che è costretto a fare propria quando accetta di condannare degli innocenti pur di salvare una bambina. La verità, però, è che abbiamo deciso di sospendere il giudizio in favore della comprensione. Nessuno di noi può sapere come davvero potrebbe comportarsi in una situazione come quella, cosa deciderebbe di fare di se stesso e degli altri. Quello di Hans è un percorso fra mille possibili. E forse ancora più terribili...

6. Infine, noi di Cedro abbiamo letto questa storia come un ottimo antidoto a una visione statica e lontana della tragedia della Shoah, ma non crediamo sia l’unico modo per leggere il vostro libro. Per questo, vi chiediamo: se doveste immaginare questo romanzo come un antidoto, a cosa servirebbe?
Pensiamo che possa essere un antidoto a non dimenticare, in un periodo in cui si parla di quello che è successo un po' tra i denti, in cui c'è più che mai la tendenza a insabbiare. Ma più di tutto crediamo che possa essere un antidoto a non chiudere gli occhi davanti alle ingiustizie di oggi. Il pericolo è quello di abituarci alla violenza e alla prevaricazione, come è successo alla generazione di Hans durante i primi anni del regime. Rivedendoci in questo, possiamo forse prendere una posizione prima di trovarci con le spalle al muro.
Ma in definitiva, questo è un romanzo, una storia che cerca di avvincere e di tenere il lettore con il fiato sospeso fino alla fine. E dunque, se ci è concesso dirlo, si tratta di un antidoto a qualcosa di molto più semplice di quanto si possa pensare: alla noia.
Grazie per averci ospitato!
Illustrazioni di A. Kovawsky (@kov.awsky)
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