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C’erano una volta Calvino, i meme tarocchi e le smarmellature narrative

Recensione del “Castello dei destini incrociati”, della “Taverna dei destini incrociati”, ma anche dei destini incrociati in cui Italo Calvino non ha fatto in tempo a mettere il naso.

 

Le regole sono bizzarre. Per quante norme ci siano adesso sul distanziamento sociale, su quanti paia di guanti siano necessari per pesare un cespo di lattuga, sulla temperatura corporea, sulle visiere, mascherine, museruole e ball gag, qualcuno con il naso fuori dalla maschera lo troviamo sempre e ovunque. Certo, la cosa irrita peggio di un fascio di ortiche nella latrina di un campeggio nudista, ma cosa vogliamo farci? Contro gli agenti del caos, anche un grande progettista non può che scuotere la testa e sospirare sconfitto come tutti noi.

Ma questi agenti del caos, di fatto, hanno imboccato la via facile. Per pigrizia, disattenzione o un prurito tremendo – che-dio-santo-di-cosa-le-fanno-ste-maschere?-di-termiti? – non seguono alcuna regola o la seguono a metà con la timidezza degli inesperti, di quelli che provano ancora sensi di colpa mentre cliccano su “ho letto e accettato i termini e le condizioni” per la modifica della normativa sulla privacy di Facebook. Quindi non solo questi agenti del caos hanno imboccato la via più facile, ma anche quella più trafficata: ci siamo stati tutti su quell’autostrada del disagio prima o poi, anche solo per cliccare sul tasto “ho 18 anni” prima del tempo se esigenza di pubertà lo richiedeva.

Per questo il genio matto di Calvino ha scritto Il castello dei destini incrociati. Leggendo questo volume possiamo pomiciare con il caos, assaporare il brivido di liberarsi delle regole, riconfigurarle seguendo nostri scopi e vedere dove questa ispirazione matta e disperatissima ci conduce. Il testo è stato composto non a partire da idee su possibili racconti, ma da un mazzo di carte di tarocchi: da quelle immagini, cariche di significati e simboli, emergono storie, personaggi, avventure.

Come un iper-inventivo e decisamente finanziato Renè Ferretti, il genio matto lavora con tutto quello che ha, inserisce sporco, cani e cagne nelle sue storie, smarmellando un po’ la scena con possibili scenari alternativi e ulteriori riconfigurazioni.

In un certo senso, dato che i tarocchi derivano da racconti e figure dell’immaginario popolare, con questa raccolta al popolo ritornano, trasfigurati. Calvino stende di fronte a noi e a sé quella serie di carte e ci invita a riconoscere persone che conosciamo, situazioni già viste e riviste nelle nostre piccole realtà. Promesse spezzate, orgogli feriti e idiozie da quindicenni si susseguono nel testo e, lavorando con i nostri ricordi caotici e autoindulgenti, ci permettono di liberarci di molte limitazioni che, al contrario di quelle per il post quarantena, ci costringono senza dare nulla in cambio.

Il volume è composto da due parti, il castello e la taverna dei destini incrociati, ma Calvino voleva scriverne una terza, con le immagini di tarocchi della nostra epoca. Purtroppo, è morto parecchi anni prima dell’invenzione dei meme e non trovando ciò che cercava, ci ha rinunciato. Per rendere giustizia al suo sforzo, se volete commentare il testo o questa recensione con un meme sui nostri Instagram o Facebook, consideratevi aizzati a farlo!

Consigliatissimo a chi ama i tarocchi, il caos, i meme e trovare modi inventivi per passare le ancor più lunghe code alla posta adesso che ci stanno solo dodici persone in quella in centro città.

Sconsigliato a quelli che cercano, almeno per il momento, la pappa pronta in un libro. Calvino sforza sia la propria immaginazione che quella del lettore in questo testo. Se non siete pronti a vedere il diavolo come il vostro padrone di casa che chiede l’affitto sempre un giorno prima rispetto al previsto, non aprite neanche questo piccolo calderone di cose matte.

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