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L'inclusività è un business!


Che l'economia sia il vero motore del mondo lo aveva capito Marx e nel 2020 non dovrebbe stupire, così come non dovrebbe sorprendere il fatto che anche inclusività e attivismo siano ormai, in molti casi, un mero strumento di marketing.


Durante il mese di giugno, i loghi delle multinazionali si tingono di arcobaleno con la stessa facilità con cui si aggiungono fiocchi di neve a Natale e l'attivismo si limita a una capsule-collection rainbow, per trarre profitto dalla comunità lgbt senza urtare il grande pubblico.


Un esempio lampante di come la performative allyship, alleanza di sola facciata, sia un fenomeno radicato è quel che è successo in questo pride month anomalo: con l'assenza delle parate gli arcobaleni sono diminuiti, proprio nel momento in cui il supporto era più necessario, e sulla scia delle proteste per il Black Lives Matter i brand sono corsi ai ripari postando frasi fatte e qualche modella nera in più.


Ma l'attivismo è ben altro e ha volti molto diversi, portare avanti una battaglia vuol dire dare voce a chi non ne ha e portare alla luce problemi strutturali: l'inclusività ha un prezzo che le aziende non sono certo disposte a pagare.


Illustrazione di: @kov.awsky

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