Adesso!
di Jacopo Napolitano
Se ne stava, Matteo, sdraiato sul tappeto, a pancia in su. La porta finestra era aperta e l’aria che ne veniva agitava le tende, ma non troppo. Gli piaceva che le tende fossero agitate da quel bisbiglio d’aria, ma non troppo: lo trovava cortese, educato. Aveva mangiato un Concertino dopo pranzo e ora il sapore iniziava ad andarsene dalla sua bocca per lasciare il posto a quello neutro che si mastica normalmente, quello che non si vuole mai avere e per questo ci si infila dentro cicche e caramelle di continuo: sempre ci si riempie la bocca di sapori che poi, alas, se ne vanno comunque. Chissà dove se ne vanno, poi. La luce delle due e mezza gli stava leccando la faccia. Era piacevole, ma se ne andrà anche quella. Anche lui se ne dovrà andare da quel tappeto, ma aspettava che se ne andasse prima il sapore del Concertino.
La sua stanza era al secondo piano. Un vociare misto a risa era riuscito ad arrampicarsi fino a lì e si era intrufolato sotto le tende per infilarsi dentro le sue orecchie. S’affacciò, Matteo, per vedere sua zia e
sua madre, giù nel cortile comune, applaudire al cuginetto di quattro anni e venti denti da latte che se ne stava in sella alla sua biciclettina. Scese anche Matteo, allora, per comprendere le cause recondite di quel gran vociare misto a risa.
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«Matté, ma quindi non scendi dal tuo regno solo per cresime e battesimi!»
«Dai, Ma...»
Il suo cuginetto cercava maldestramente di governare la bicicletta imbizzarrita, ma non sembrava avvertirne il pericolo, anzi se la rideva mentre pedalava con le sue gambette senza peli. Non sembrava neanche stupirsi di come stare in equilibrio con quelle improvvise torsioni del manubrio era un affronto bello e buono alla fisica newtoniana. Zigzagava dalla mamma alla zia, avanti e indietro: sempre in sella, mai per terra.
«Quando ha imparato ad andare senza rotelle?» Il cuginetto, orgoglioso, squillò:
«Adesso!»
Adesso? Una cosa la si può imparare adesso? Guardò ancora un po' quel miracolo a due ruote, poi pescò dal freezer un altro Concertino e se ne tornò a sdraiarsi in camera. Il cioccolato si scioglieva in fretta in bocca, la granella di biscotti scricchiolava sotto la pressa dei denti, mentre il gelato alla panna era ancora troppo freddo per morderlo, ma non importava, Matteo aspettava solo che la variegatura all’amarena si spandesse sull’arcata del suo palato e dietro i rilievi dei suoi molari. I denti del giudizio ancora se ne stavano rintanati nelle gengive.
Le cose non si potevano imparare adesso. Si guardò attorno, cercando qualcosa da imparare adesso per ricevere il plauso dei parenti. Tornò a sdraiarsi sul tappeto, offrendo il volto al tocco del sole. Ok, la guancia stava imparando il calore, ma non era un’apprendimento di cui andare fiero. Avrebbe potuto imparare il giro di do oppure memorizzare una poesia in francese, ma sarebbe stato adesso? Bah. Si stava mettendo in competizione con un bambino alto meno di un metro? Bah. Stava ammettendo che lui non era più in grado di disegnare stupore sui volti dei suoi parenti? Adesso non esageriamo!
Scese in giardino. Il cuginetto aveva abbandonato la bici e stava cercando di incastrare gli ombrelli per costruire una capanna. Matteo gli chiese di fargli vedere ancora una volta quanto era bravo ad andare in bici. Il cuginetto non perse l’occasione di dare mostra di sé e saltò in sella. Fece un paio di pedalate e Matteo gli lanciò lo stecco del concertino e il cuginetto alzò una mano per schermirsi e abbandonò la presa del manubrio e si ritrovò per terra con un ginocchio sbucciato e Matteo sghignazzò:
«Oh, adesso ti sei fatto anche male!»